Giorni fa ho visitato l’Ecomuseo del Freidano, non era la prima volta ma speravo che si fosse arricchito sapendo che il Museo ha a sua disposizione una grande quantità di reperti antichi (così ormai si possono definire), invece sono rimasto deluso perchè, secondo me, è molto povero di oggetti, sbrigativo e superficiale nella descrizione delle lavorazioni. Avendo tanto spazio a disposizione perchè non scendere nei particolari e rappresentare come si lavorava nelle “boite” di penne stilografiche 60-70 anni fa? Potrebbero venire alla luce particolari curiosi A volte si faceva uso di attrezzature povere ma funzionali, per esempio dopo il taglio dei tubi di celluloide in pezzi per costruire cappucci e serbatoi per passare allo stampaggio di imbutitura, operazione alla quale erano addetti i bambini di 11 / 12 anni, ricordo che su un fornellino elettrico si metteva a scaldare una pentolina d’acqua con qualche goccia di olio, una lattina vuota di quelle usate per la carne in scatola con tre fori sul fondo rovesciata dentro alla pentola serviva da sostegno ai pezzi di celluloide per i quali la parte che rimaneva a bagno nell’acqua calda si ammorbidiva e uno alla volta venivano inseriti in uno stampo e con un colpo di martello assumevano la classica sagoma a siluro. Il taglio e l’incollaggio delle pastiglie con l’acetone versato in un coperchio di una scatola per lucido da scarpe, bagnando per qualche istante nell’ acetone la parte del cappuccio che si voleva incollare, questa si scioglieva e mettendola a contatto con la pastiglia, anche lei di celluloide, diventava un corpo unico potendo così “tornirla”. Anche il montaggio degli anellini richiedeva praticità e sveltezza, questo lavoro era quasi esclusivamente femminile e domiciliare. Per non parlare di tutte le operazioni di montaggio che a partire dall’incollaggio delle “gommette” con la resina indiana, al fissaggio dei fermagli, al montaggio dei serbatoi con l’inserimento della molletta e del pulsante e finire col montaggio del pennino e la condotta. Insomma, secondo me, mettere in luce i vari metodi, le piccole invenzioni che la carenza di attrezzatura costringeva ad ingegnarsi e costruirsela e anche la complicità -solidarietà tra “piumisti” che li portava a usare utensili in comunione o scambiarsi del lavoro quando ce n’era troppo e non si poteva evadere con le esigue forze della piccola azienda. Questo vale per le penne ma anche per tutti gli altri mestieri che in Settimo si esercitavano perchè è vero che le penne, i bottoni, i mattoni e i lavandai furono per un certo tempo un fenomeno di massa però il paese viveva anche d’altro, l’artigianato era vario: maniscalchi, fabbri, muratori, panettieri, sarti, falegnami, ciclisti, officine meccaniche, tornitori in lastra, ciabattini, sellai, costruttori di carri, segherie, officine di minuterie meccaniche, senza dimenticare la vocazione contadina di Settimo, ricordo che quando ancora frequentavo le elementari in piazza della Libertà di fronte al municipio attuale vi era una cascina, altre erano disseminate per tutto il centro del paese. Penso che ricordare nel museo un po’ tutti o almeno coloro di cui disponiamo testimonianze visive di attrezzi usati dai vari artigiani sia un dovere storico.
Bella l’ambientazione esterna.
Nando