Archivio della Categoria 'Storia dell’Arte'

“La flagellazione di Cristo” di Piero della Francesca

sabato 19 febbraio 2011

  "La Flagellazione di Cristo" di Piero della Francesca - Urbino - Galleria Nazionale delle Marche

La flagellazione di Urbino è stata realizzata tra il 1444 e il 1469, ovvero fra l’interruzione dei dipinti di Arezzo. La scena si svolge all’interno di un’architettura classica e rinascimentale, con la scacchiera del pavimento e i cassettoni del soffitto che contribuiscono a dare l’impressione della profondità. Infatti la tavoletta, nonostante le su dimensioni ridotte, mostra grandi spazi grazie all’applicazione magistrale della prospettiva. La luce provenendo da due punti differenti, da sinistra e da destra, illumina anche il riquadro del soffitto sotto cui è collocato il Cristo. La  forza straordinaria dell’arte di Piero consiste nell’avere connaturato il colore, che in lui è immediatamente luce, con la forma, fino a fargli assumere valore plastico. Tutta la scena è bloccata ed immobile: tale impressione è accentuata dall’uso di una luce, chiara e diffusa, derivante dal Beato Angelico, ma che di fatto non ha più alcun valore religioso. La composizione è molto equilibrata: all’ambiente chiuso di sinistra corrisponde a destra un ambiente aperto; agli uomini attorno a Cristo corrispondono quelli in primo piano che con molta probabilità sono il cardinale Bessarione, Buonconte da Montefeltro e Giovanni Bacci, caratterizzati da una gestualità “congelata”in una specie di vitalità sospesa. Lavorando a Urbino e Ferrara, Piero della Francesca diffonde i risultati della sua ricerca e allo stesso tempo entra in contatto con gli artisti fiamminghi attivi in quelle corti e da essi apprende le loro tecniche. Piero della Francesca elabora una sintesi tra il rigore prospettico di Paolo Uccello, il plasticismo di Masaccio e, la luminosità chiara e diffusa di Beato Angelico.

Gianfranco D’Angelo

“Il compianto sul Cristo morto” di Giotto

domenica 7 novembre 2010

 

 

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Il dramma della Passione di Cristo, affresco realizzato tra il 1303 e 1304 nella Cappella degli Scrovegni a Padova, culmina in questa scena ed è la più celebre del ciclo. Il Compianto sul Cristo morto, detto anche La Deposizione,  è un tema iconografico ricorrente in età romanica nei gruppi scultorei, ma Giotto lo interpreta con un pathos non riscontrabile, ad esempio, nella scultura di Giovanni Pisano o nella lauda di Jacopone da Todi. Gli sguardi di tutti i dolenti sono rivolti verso Maria, che porta in grembo il corpo morto di Cristo e avvicina il volto a quello del Figlio. Le pie donne gli sorreggono il capo e le mani, Maria Maddalena i piedi. Sono rappresentate tutte le espressioni del dolore: quello trattenuto di Nicodemo e di Giuseppe d’Arimatea, in piedi sul lato destro; quello di Giovanni che apre le braccia portandole all’indietro, gesto ripetuto da una pia donna sul lato sinistro; quello delle due pie donne accovacciate e riprese di schiena. Il movimento silenzioso e dialettico tra la morte e la vita è scandito dal passaggio profondo e greve dell’arida roccia che, muovendo idealmente da Cristo morente, si protrae fino all’albero scheletrico e privo di vegetazione. Il dolore è universale estendendosi dalla terra al cielo. Infatti nella volta celeste, intrisa di blu, gli angeli fanno capolino e da contraltare agli uomini. Anch’essi manifestano il loro dolore piangendo in modo molto umano, strappandosi i capelli, nascondendosi il volto: non vi è una espressione uguale, ogni angelo ha una connotazione particolare e diversa dagli altri.     Da notare, infine, i colori delicati e brillanti di manti e vestititi che evidenziano i volumi delle figure, tratteggiate con sottili velature e con trasparenze sfumate. Giotto, in questa scena, lasciando definitivamente dietro di sé ogni rigidità bizantina, si schiude al mondo dei sentimenti e delle emozioni con un sentire ed una coscienza nuovi per affermarsi come un modello per tutta la pittura del Trecento.

Gianfranco D’Angelo