Settimo, 7° e/è Casa mia – La cantina.
Dopo una lunga pausa vorrei riprendere la descrizione di Settimo vista sotto l’ottica della mia casa. Verrebbe naturale, dopo aver parlato dell’entrata, proseguire con la sala, o con la cucina, o con qualunque altra stanza, ma evidentamente io non devo essere molto …naturale, perciò vi parlerò della cantina. Come vedete il suo numero di scaletta era l’11, ma a me va di farla passare ora, al secondo posto. E non chiedetemi il perchè.
11) La Cantina
Parlando della cantina e riferendosi a Settimo, verrebbe da cominciare ad elencare le varie “Vinerie” esistenti, come ad esempio “la Vineria di Re Artù”, quella non facile da trovare, seminascosta in una piazzetta tra via Verdi e via Mazzini, piazza Asteggiano appunto. Oppure citare quelle quattro o cinque enoteche sparse per la città, ma sinceramente farei una magra figura, in quanto non essendo uso comprare vino, (ahimè, mangiando bevo solo acqua), non sarei in grado perciò di spiegare difetti e pregi dell’una e dell’altra.
Mi intriga invece fare un paragone con la cantina di casa mia, la mia cantina. E’ piccola, poco più di 8 mq, ma ci ho fatto stare di tutto e di più. Sugli scaffali, pensili, sono sistemate le bottiglie di vino e le cianfrusaglie di piccola dimensione. E’ vero che non bevo più, ma quelle bottiglie sono i resti di quando a Natale arrivavano le confezioni regalo, o di quando mi rifornivo da mio cognato, specialista nel fare un Chiaretto che era la fine del mondo. Smesso lui di farlo, smesso io di bere. Il resto della cantina è occupato da macchinario vario. Ho dimenticato di dire che sono un appassionato del “Fai da te”, mi piace fare delle cose, in legno (preferibilmente in ulivo), per cui mi sono attrezzato di conseguenza. In quel piccolo spazio c’è il banco da lavoro, un trapano a colonna, un tornio, una sega a disco, due mole, una tapie, una pialletta a filo. Le ultime due costruite da me utilizzando ed adattando utensili commerciali. Il tornio invece è di quelli piccoli, da banco, cinese naturalmente, ma in grado di lavorare ferro e legno e anche lui adattato (prolunga del bancale).
La cantina è un po’ intasata, ma malgrado ciò sono riuscito a fare anche delle cose non proprio piccolissime, tipo la riproduzione della Torre di Settimo e dell’edificio basso al suo fianco, in scala 1/10. Se non ci credete andate a vederla, è piazzata nell’entrata all’UNITRE in via Buonarroti 8.
Quando vado in cantina, non dico “vado giù ‘n cròta”, ma dico invece “vadò ‘n bòita”. Bòita, per chi non lo sapesse è l’appellativo con cui venivano (e vengono) chiamate in dialetto quelle piccole fabbrichette/officine che producono principalmente parti meccaniche. Oggi vengono più pomposamente chiamate “Piccole e Mediopiccole Industrie”.
E qui scatta l’abbinamento con le “Bòite “ di Settimo. Per documentarmi ho coinvolto l’amico Nino Fassio, già valente padrone di una bòita meccanica, sita in via Castiglione. Da anni ormai non esiste più, al suo posto Nino ha fatto costruire le abitazioni per sè e per i suoi, compresa sua nipote, Ilaria Schettini, bravissima pianista.
Cito perciò quanto Nino ha scritto, scavando nella sua memoria.
Tanti anni fa nella nostra città esistevano officine di vario genere, ma prevalentemente meccaniche. Nel 62, io, ex allievo e ex dipendente Fiat, iniziai la mia attività. Ebbi tra i miei clienti molte medie e grandi aziende. Mi piace ricordare la SIVA di Settimo, dove ho conosciuto e collaborato con il dott. Primo Levi, per la costruzione di varie attrezzature per il suo laboratorio.
Tra le ditte più anziane c’era quella di Richiardi, detto “’l Pet”, famoso costruttore di carpenterie metalliche, conosciuto, oltre che per la sua capacità, perché aveva anche una piccola scimmia. L’officina era sita “ ‘ntl’eira d’amour”, oggi Piazza della Libertà.
Un’altra era quella di Chiabotto e Varetto di PiazzaVittorio, “ sota la Tor”, ormai chiusa da tanti anni. E ancora:
La OMAS di Forconi, in via Cavour, proprio dove ora ha sede il laboratorio di analisi mediche “Nuova Lamp”
-La Gino Peracchio di via San Gallo
-La Ramella Piero e Bonomo, di minuterie metalliche, ora rilevata da Claudio Ramella
-La Ceccon Zeffirino, di minuterie tornite, in via DeAmicis
-La Munaro Elzo, targhe ed affini, in via Trento. Tra tutte queste e tra altre che non ricordo più, probabilmente alcune esistono ancora, specialmente tra quelle produttrici di minuterie metalliche.
Dagli anni sessanta in poi, trovarono occupazione in queste “bòite” molti giovani apprendisti, che una volta fattesi le ossa, furono assunti in grandi aziende.
Nino Fassio.
Questo è quanto ricorda Fassio, io ho avuto occasione di conoscerne solo un paio. Una, in via XX Settembre, di cui non ricordo il nome, che mi fornì dell’olio lubrificante per il mio tornio e un pezzo d’acciaio che avrei poi lavorato per le cose mie.
L’altra era situata in fondo a via Rio San Gallo, l’ultima casa prima dei prati. Volevo un preventivo per fare un pezzo per il mio macchinario, ma il padrone, molto anziano, mi fece capire che ormai era da solo e non era più in grado di soddisfarmi. In effetti l’officina era mal messa e il macchinario vecchio e abbandonato. Non mi ricordo come si chiamasse, ma non mi stupirei se fosse quel Gino Peracchio, citato da Fassio.
Certamente esisteranno altre ditte, basta guardare sulle Pagine Gialle, ma, se non raccontate da qualcuno, non hanno storia.
Questa è la mia cantina, la mia “bòita” e queste “bòite” sono, per me, la cantina di Settimo.
18 dicembre 2008 alle 09:43
Noi di “Dietrolaquinta” Vi auguriamo buon Nata e felice Anno Nuovo.